BASTOGI LIBRI di Roberta Manuali
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Non capita spesso al giorno d’oggi d’imbattersi in un canzoniere
interamente scritto in dialetto siciliano, anzi, per meglio
dire, in lingua siciliana. Una lingua nel corso dei secoli lentamente
formatasi con l’apporto di ciascuna di quelle di tutti
i popoli che hanno abitato la nostra isola, e che, per questo, si
fa memoria, identità, strumento imprescindibile per capire la
nostra ‘sicilitudine’, per usare un termine caro a Sciascia, e
capirsi. Una lingua che le nuove generazioni non di rado rifiutano
perché non la ritengono adatta ad esprimere in maniera
adeguata il proprio pensiero. A rivelarne l’infondatezza
basta la lettura dei poeti che in lingua siciliana hanno dato
voce al sentire del cuore, dimostrando di quanta profondità
semantica essa è capace, a quanta musicalità e armonia sa elevarsi,
lontane da ogni complesso di inferiorità davanti all’idioma
nazionale, senza in nulla sfigurare, senza nulla invidiare.
Tutti caratteri che ritroviamo intatti anche nelle liriche di questo
piccolo canzoniere di Maria Nivea Zagarella, dal misterioso
titolo: Vocalanzìcula, che significa “altalena”, metafora per la
poetessa dell’esistenza, dondolante fra vita e morte, tutta immersa
com’è in un vortice di precarietà, che poco spazio lascia
a momenti di felicità, fugaci anch’essi. Ma non si tratta, di
una visione desolante della vita, la poesia sa andare ben oltre
la cruda e crudele realtà. Essa è solo un un pretesto per inchiodare
l’uomo alle sue responsabilità, non per rinfacciargli
le sue colpe, ma per scuotergli il cuore. Suo compito è quello
di additare una via alternativa, di certo più impegnativa e
carica di fatica, ma una via sempre possibile. All’uomo la
scelta.